Il 3 aprile del 1991 da Amecameca andiamo a Puebla e il 4 aprile alle 9 del mattino prendiamo dal terminal il bus per Tlachichuca, 2 ore di viaggio. Quì ci sono solo 2 persone che hanno il fuoristrada per andare a Piedra Grande: Josè Amador Reyes che ha il negozio di alimentari di fronte al distributore della Pemex a 10 metri dalla piazza e Joachin Canchola Limon che abita pochi metri più in là. Reyes dietro al negozio ha anche un locale grande per ospitare a pagamento gli alpinisti; dispone di qualche letto, dei servizi igenici e dello spazio necessario per farsi da mangiare o come nel nostro caso per cambiarci e dividere la roba da lasciare. Alle 14 partiamo con la jeep per Piedra Grande, sostando nel misero villaggio di Hidalgo (m.3.335), paese natale dell’autista Leopoldo dove raccattiamo anche il fratello che per 25.000 pesos starà al rifugio a fare la guardia ai nostri averi mentre noi saliamo il vulcano. A Piedra Grande (m.4.260) ci sono 2 rifugi: la vecchia struttura (l’Augusto Pellet) che sarebbe più corretto chiamarla bivacco con 12 posti letto ed il nuovo, l’Octavio Alvarez, una casa con 60 posti letto abitato al momento da 17 lavoratori di Tlachichuca impiegati per la costruzione del canale dell’acqua un centinaio di metri sopra il rifugio.
Nonostante i suoi 20 anni di vita è ridotto in condizioni penose; non c’è un vetro alle finestre (tutti rotti) e la porta è un pezzo di lamiera ammaccata e posta alla bellemeglio di traverso. All’interno vi sono sacchi di cemento, con cemento e sabbia sparsi da ogni parte; insomma, fa proprio schifo. Per l’occasione ci siamo sistemati al Pellet; buon per noi. Stiamo tutti molto bene e mangiamo più in quota che in basso. Sarà l’effetto Messico! Verso le 21 il tempo peggiora e spira un vento fastidioso e freddo.
Alle 2,30 del 5 aprile sveglia (e chi dormiva!) e alle 3,10 siamo già in partenza dopo una scodella di caffè e latte in polvere. La via di salita sin prima di arrivare al Glaciar de Jamapa è abbastanza ben segnata nonostante la montagna sia meta di rari alpinisti. La foschia copre la luna e per questo dobbiamo fare molta attenzione e far uso della frontale. Il sentiero è monotono e una volta raggiunto il ghiacciaio (m.4.930) calziamo i ramponi e poi saliamo diritti verso la cima, evitando poco sotto un paio di crepacci verso destra. Alle 8,30 siamo in vetta al Pico de Orizaba (m.5.700) dopo 5,20 ore di salita e con il cielo che si copre minaccioso a vista d’occhio. E’ il punto più elevato del centro-america ma chi se ne frega; vogliamo solo scappare via in fretta prima che si scatenino le più malefiche divinità del cielo. A sera festeggieremo “come si deve” le 2 salite a Puebla in uno dei migliori ristoranti, il Fonda Santa Clara in Avenida Poniente 307.