CILE

Ojos del Salado

Salita alla vetta del più alto vulcano del pianeta

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Siamo sulla cima del Cerro Maricunga e Beppe (Giuseppe Comba) si guarda intorno alla ricerca di poter fissare qualcosa. Gli occhi si muovono e scrutano lontano ed il vento li accarezza di aria gelida. Si vorrebbe poter rubare per la mente ogni attimo di ciò che si ha di fronte, sapendo che di questa grandiosità ciò che resta è solo il ricordo e nel ricordo non c’è l’aria fredda o la fatica nelle gambe o la pelle del viso bruciata dal sole e dal vento; quello che si conserva nella memoria è una piccola traccia lieve di nostalgia che nessuno tranne noi può cogliere. Gli occhi si riempiono dello spazio arido e sconnesso che ci circonda e del cielo immenso che sembra avvolgerci nel suo manto blu. E’ il primo assaggio, quest’anno, tra le montagne dell’altopiano cileno ma tutto sembra collocarsi nella giusta dimensione dei nostri pensieri, quelli che già nelle nostre conversazioni italiane intendevamo ritrovare. La zona vulcanica in direzione sud-ovest assomiglia per morfologia e colori ad una regione di Marte.

Beppe esclama con meraviglia :”Che ambiente staordinario” ed io gli rispondo sicuro: “Era quello che cercavamo”. Riusciamo ancora a stupirci e ad emozionarci al cospetto della natura andina; il legame con questi deserti d’alta quota e queste montagne ci pare oramai indissolubile. Dopo una salita come quella all’Ojos del Salado abbiamo avvertito la necessità di scendere, di scappare via dalle montagne e da queste montagne, ma nel contempo pensavamo alla prossima vetta ancora quì, sulle aride Ande . Il rammarico che in fondo sentiamo è di comprendere che mai riusciremo a far comprendere ad altri il perchè di questa condivisione e appartenenza a questo angolo del pianeta. Ogni ritorno tra le pune ostili è un ritorno tra le “cose” familiari, quegli ambienti che ti scavano dentro e che non sai spiegarti perchè ti manchino così tanto.

Ciliege a Santiago

Sbarchiamo a Santiago il 18 dicembre 1999 alle 12,45 in piena estate sudamericana. La temperatura è ideale (22 gradi) ma surriscaldata è invece la campagna elettorale per la presidenza della repubblica tra i 2 contendenti Lavin e Lagos. Ogni angolo, strada, casa, bivio e piazza è tappezzato o dipinto con i nomi e gli slogan dei 2 candidati e l’ultimo giorno di permanenza nella capitale stringerò casualmente la mano a Lagos in una via centrale, perchè lo faceva con tutti coloro che incontrava in quello che viene chiamato un “bagno di folla” pre-elezione. Il 16 gennaio risulterà lui il presidente eletto democraticamente dal popolo cileno ed io credo che anche la soluzione Lavin non avrebbe tolto o aggiunto niente alla democrazia di questo paese ragionevolmente maturo che, debbo aggiungere, ha un sentimento nazionale che mai ho avvertito da nessun’altra parte del mondo. Quante volte in un viaggio in questa lunga striscia di terra sudamericana si sente gridare e cantare “Viva Chile” dalla gente; qualsiasi occasione diventa buona, dalla festicciola familiare alle gare sportive. “L’Orgoglio Chileno” viene riversato anche su chi milita altrove e così le gesta italiane dei loro punteros Salas e Zamorano vengono riprese nei telegiornali e in qualsiasi cronaca sportiva con grande fervore. C’è un senso di appartenenza della gente al loro paese che personalmente non ho. Nonostante il periodo della dittatura Pinochet, in generale i cileni non riservano grande rancore alla loro drammatica storia recente e in fondo anche questo viene collocato all’interno del passato, considerando che il Cile è attualmente il paese più ricco e dove si vive meglio di tutto il continente sudamericano. Sbarcati a Santiago per il Beppe, la Martina ed io l’atmosfera ed il luogo sono, per così dire, familiari tante sono le volte che quì siamo transitati e per i giorni di descanso trascorsi nella capitale. Ritroviamo ogni cosa come se non l’avessimo mai lasciata e così il fruttivendolo de la Avenida Santo Domingo appena ci vede ci incarta 2 kg. di ciliege, anzi di prelibarti duroni, appena arrivati dal “Sur para Ustedes”. Dall’Hotel Cervantes siamo a 2 passi dal palazzo presidenziale della Moneda e andiamo subito a farci un bicchiere di Ondurraga dalla signora Ines, un ristorante a 50 metri dall’hotel, dove a servire ci sono sempre delle ragazzone accattivanti. Se per il cibo la votazione rasenta la sufficienza così non si può dire per il clima simpatico-confidenziale che regna nel locale e assomiglia molto ad una trattoria di Cernusco Lombardone che conosco; ci si sta volentieri. Lasciamo in hotel dei pezzi da novanta dell’abbigliamento (il cambio di roba pulito che profuma di casina) e andiamo in aereoporto. Si parte per il Norte.

Surprise Hostess Lan Chile

Quando saliamo la scaletta dell’aereo a Santiago per Copiapo ed entriamo nel velivolo, con sorpresa la hostess che saluta i passeggeri mi guarda e con un sorriso a 50 denti comincia a gridare “Mario, Mario; che piacere rivederti”. Io ricambio il saluto anche se non collego il suo viso a qualche avvenimento passato. Non so proprio chi sia. Il Beppe mi dice che le sembra di averla già vista anche se non ricorda con precisione dove. Prima del decollo Rosa ci raggiunge e ci chiede della nostra salita al Pili; allora comprendo chi è esattamente. Un anno e mezzo prima 2 ragazze, lei e una sua amica brasiliana, si erano aggregate alla mia spedizione al vulcano ed erano arrivate con un loro fuoristrada fino al campo base, dopodichè erano rientrate su San Pedro de Atacama. Debbo dire che Rosita vestita da hostess, tutta a posto e tiratissima, non aveva niente a che fare con la frikettona un pò sporca, dall’abbigliamento “figli dei fiori” (per il freddo si copriva con una coperta marron-scuro logora e puzzolente) e dai capelli alla Jimi Hendrix raccolti a grumi dalla polvere; si, ho faticato a riconoscerla nel nuovo look lavorativo, qualitativamente un abisso più elevato. Adesso uno gli potrebbe fare anche la posta, mentre prima era un caso quasi disperato. Voliamo a Copiapò via La Serena, quest’ultima famosa località balneare cilena con Vina del Mar e Antofagasta. Con 4.000 pesos andiamo in hotel col taxi che dista un centinaio di metri dal centro. L’Hotel Palace è Palace solo di nome, ma ha un patio interno che è una vera chicca, con diverse piante di albicocche che cadono a terra mature e dolcissime. Sono una delizia e in montagna ce le sogneremo. Della nostra “tripla” al Palace si potrebbe dedicare un museo d’arte moderna; sia per la composizione architettonica (un bagno ricavato in un angolo della stanza con le pareti di compensato e aperto sopra) sia per l’odore riluttante di muffa che lo stesso emana. Per farlo proprio così malamente dev’esserci stata dietro la mano del “Grande Vecchio”, quello che noi italiani di tanto in tanto tiriamo in ballo quando non sappiamo a chi dar la colpa. Comunque: privacy zero! In piazza hanno allestito un presepe con i personaggi a grandezza naturale fatti di cartone e con il polistirolo. Mi fanno impressione gli addobbi e gli alberi di Natale con l’estate ed il caldo che imperversa perchè sono nato e cresciuto in montagna con la neve. Negli ultimi vent’anni ho sempre trascorso le festività fuori dall’Italia e questo mi ha estraniato da un evento così importante. Il mio Natale è legato alla neve e a tutte le fantasie di un bambino con la propria famiglia.

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Copiapò è un’oasi nel deserto che la circonda. Una città piacevole anche se non ha nulla di eclatante. Sicuramente ha un clima invidiabile; caldo secco durante il giorno e temperato nella notte. Non vi sono grosse differenze tra l’estate e l’inverno e la piana del Rio omonimo ospita la città e un’ampia zona agricola coltivata principalmente a vite (ottimo il vino) e da ogni altro genere di frutta e verdura. Quì il tempo è sempre bello e la temperatura media oscilla tra i 26 e i 30 gradi durante il giorno. Per il mezzo che ci porterà all’Ojos ho concordato con Jorge Cruz della Budget direttamente in aereoporto e ci ha presentato anche quello che sarà il nostro chofer: Marcelino. Con lui diventeremo subito amici e il nostro rapporto proseguirà ben oltre questa spedizione.

Cerro Maricunga

Il giorno 20 dicembre lasciamo Copiapò dopo essere passati in Plaza Pratt da Sernatur per i permessi per la montagna; Lelia Manterola Cortes ci ha assicurato che li spedirà via fax alla Laguna Verde dai militari perchè non sono ancora pronti; va benissimo così. Facciamo un pò di spesa all’Ekono, supermercato, e alle 11,15 si prende la strada verso est. Tra Copiapò e la catena andina è tutta zona di miniere, da La Serena fin oltre Calama. Da ogni montagna vi è qualcosa da estrarre e proprio Copiapò è nata e si è sviluppata grazie alle miniere. Alle 13 siamo sotto la mina di Maricunga dove si estraggono i colori naturali. La montagna ha una forma massiccia, tutta solcata dalle piste a zig-zag che raggiungono la cima. I fianchi dei monti sono coloratissimi e segnano il dissesto della loro formazione con stratificazioni scomposte. Alle 14,30 siamo alla Laguna Santa Rosa e dal passo che la precede c’è un panorama mozzafiato. Ci sitemiamo al rifugio CONAF sul fianco sinistro del lago. Al suo interno si possono sistemare 7/8 persone per terra e c’è un tavolino per cucinare. La struttura è in legno, ben costruito e pulito; un lusso che non ci par vero. Il mattino del 21 non c’è un filo di vento, la giornata è bella anche se dall’Argentina arriva della nuvolaglia sospetta. Alle 9,50 partiamo per la salita del Cerro Maricunga; la montagna è un eterno spallone che porta alla cima (m.4.895) e che raggiungiamo io e il Beppe alle 14,20 dopo 4 ore e 30 di salita. La Martina a metà del pendio ha dato forfait preferendo dedicare il pomeriggio alla lettura e all’arte culinaria, così stasera ci rifila la solita Knorr. Alle 14,40 iniziamo la discesa e siamo al rifugio alle 18 precise. A sera tira sempre vento, ma oggi è fortissimo.

Mulas Muertas

Il 22 dicembre lasciamo il rifugio alle 9,15 e dopo aver costeggiato il Salar de Maricunga dalla parte opposta, andiamo al Control Aduanero San Francisco a ritirare dai Carabineros i nostri permessi per l’Ojos inviatici via fax da Sernatur. Ripartiamo per raggiungere la Laguna Verde e durante l’ultima parte del tragitto possiamo ammirare l’Ojos e il Tres Cruces. Ai militari del Paso San Francisco lasciamo i permessi per la salita e i passaporti (non sanno qual’è l’Ojos e quant’è alto) e poi andiamo a sistemarci al rifugio del lago. La costruzione è composta di 2 stanze dove si può dormire sul pavimento, poi un locale per cucinare ed un’altro con una vasca di acqua calda che arriva dalla pozza esterna (bollente) dove si può fare il bagno pure lì. A queste quote trovare una cosa così libidinosa succede raramente; cioè mai! Dopo un paio d’ore che ci siamo sistemati arriva una spedizione di 6 tedeschi ed un francese, e una coppia di spagnoli. Nessuno di loro ha fatto una tappa intermedia dalla costa e di questo ne risentiranno in seguito. Ci stringiamo un pò all’interno del rifugio e prima di sera ci rimane il tempo di fare un’escursione oltre il lago e quasi fin sotto il Cerro Laguna Verde, perfetto cono vulcanico. Il 23 mattina alle 9 lasciamo il rifugio e iniziamo la salita del Mulas Muertas che si trova di fronte al lago; dopo 1.200 arriviamo in vetta (m.5.897) che sono le 15 circa in un percorso che si rivela un monotono zig-zag su ghiaia e sassi. Appena inizia la discesa si alza il solito fastidiosissimo vento.

Martina Sira, l’Acchiappa-rifugi

Per arrivare per primi ai rifugi e lasciare con discrezione fuori gli altri in tenda al freddo e in balia dei venti ci vuole del tatto e un pò di faccia tosta. Si, perchè quando si parte da quello prima non bisogna dare nell’occhio e far finta che con un buon the aver la pancia piena di colazione e dover partire perchè non rimane nulla da fare. Alle 9,20 ci si lascia alle spalle la Laguna Verde e ritorniamo verso ovest prima di addentrarci verso l’Ojos oltre il passo a sinistra. La pista di tanto in tanto è coperta a tratti dalla neve o dai penitentes così Marcelino inventa percorsi alternativi e sicuri; alle 11,45 siamo al rifugio Jorge Rojas (m.5.200 ca.), un container arancione con 2 letti a castello (4 posti) e un angolino per cucinare. Verso le 15 arriva Martin Rihs, svizzero di San Pedro, con un gruppo di suoi connazionali; si piazzano con le tende a fianco del rifugio e noi siamo salvi all’interno! Il tempo è peggiorato e in vetta all’Ojos nevischia. Il 25.12 il campo si anima di varie spedizioni ma noi siamo insediati dentro e non molliamo la preda. Arriva di tutto: tedeschi, cileni, francesi, spagnoli e se entrano chiedono sommessamente il permesso. La Martina sembra il generale Radesky; MS in bocca e sguardo inquisitore su chi si avvicina alla “proprietà” oramai acquisita. Io ed il Beppe saliamo per acclimatarci fino al rifugio Tejos (m.5800 ca.) in meno di 3,30 ore e 1,30 per scendere. Con grande stupore troviamo 2 neozelandesi al rifugio messi piuttosto male, con evidenti conseguenze dovute alla quota. Tra l’altro hanno ridotto il rifugio, già malandato per i fatti suoi, ad un vero porcaio e la mondezza è sparsa ovunque. C’è da aggiungere che lui è pallido da far impressione e lei non è granchè messa meglio. Se non scendono il rischio di non tornare vivi è reale. Strana gioventù!

Ojos del Salado 6.885

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Il 26 dicembre alle 9,30 partiamo alla volta del rifugio 2; il tempo è bello anche con nubi alterne. Stanotte ed anche stamattima è nevischiato al campo 1 e lungo la via di salita. Verso le 10,30 incontriamo i 2 neozelandesi Scott e Nicolette sfiniti e con 2 zaini disumani e varie borse di plastica in mano che stanno rientrando dopo 4 notti a 5.800 metri e senza alcuna esperienza di montagna alle spalle. Nella notte hanno tentato la salita (così dicono) ma dopo 2 ore hanno desistito; forse è stata la loro fortuna per non rischiare la pellaccia ridotti come sono. Prima di arrivare al Tejos ci supera Pato, poi uno svizzero e una volta sù arrivano anche i tedeschi di Reiner, poi Martin con i suoi e anche Bernard. Siamo una banda di allegri simpaticoni e come ha detto Pato riferendosi alla salita “Esta es pura mierda”. Dopo la montagna ce la spasseremo alla grande e nel frattempo da quassù, col fiatone, sognamo le brune di Copiapò, il pescado e los mariscos di Caldera e La Serena annafiati dal buon vino cileno. Quando chiedo a Martin, svizzero di Soloturn (30 km. a nord di Berna) se si era trasferito a San Pedro per le montagne, mi risponde senza esitazione; “no, para las muchachas chilena”. Tutti siamo concordi con lui e quando si sparge la voce che Pato ha una rivista porno tra i viveri della tenda cucina tutti, con discrezione, gli facciamo una visitina. Il 27 dicembre al Tejos tutti dormono a parte io e Igrid che sta male. Alle 23,25 (di ieri) il Beppe ed io ci alziamo e ci facciamo 2 litri di the con il camping gas sul tavolo, con Bernard che dorme sotto. A mezzanotte partiamo e il cielo è stellato, meraviglioso, il massimo. Appena sopra il rifugio sbagliamo il sentiero e prendiamo a destra.

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Ci imbattiamo in penitentes e chiazze di neve che ci fanno perdere un sacco di tempo. Alla fine ne veniamo fuori e avvistaiamo l’evidente ghiaione. Alle 2 sorge la luna e la situazione migliora; prima anche con la frontale non si vedeva molto. Il ghiaione salito a zig-zag è interminabile e poi a 6.400 metri ca. attraversiamo il nevaio nella parte più ampia. Anche questo tratto con i prossimi 200 metri per raggiungere il bordo basso del cratere sembra senza fine ed è veramente dura. Ad ogni passo ci si appoggia sui bastoncini e gli occhi si chiudono dal sonno e dalla quota. Quando sbuchiamo sul cratere la nebbia impedisce la vista e fatichiamo a seguire il sentiero che si immette all’interno del cratere a sinistra. Dopo 20 minuti il cielo si libera della nuvolaglia e possiamo proseguire fin sotto il canalino che porta alla biforcazione tra le 2 cime al sole tiepido e luminoso. La più elevata è quella sulla destra segnata anche da una corda fissa che semplifica gli ultimi 15 metri di vera arrampicata. Comunque per quest’ultimo sforzo a 6.880 metri bisogna mettere insieme tutte le forze rimaste, e non sono moltissime.

Nel frattempo arriva Bernard che mi da un cordino per fare un prusik sulla corda; lui passa ed io lo seguo. Siamo in cima (ore 9,20 m.6.885) e il Beppe mi precede di qualche minuto. Arriva poi Martin con altri 3 del suo gruppo e dopo le foto di rito si parte per la discesa. Nel frattempo giunge Reiner con un altro alpinista ma nessuno a voglia di soffermarsi più di tanto nonostante il paesaggio grandioso. Scriveva Mario Fantin in merito alla salita di Vincenzo Chiaranda del 1956:”La sommità del monte è come un singolare cratere irregolare con un tratto del bordo molto più alto. L’ascensione a questa montagna è ripetuta raramente per la grande distanza dai centri abitati, per il terribile soroche che si soffre durante l’ascensione e per l’altezza cospicua che non ammette incertezze”. Arrivati al rifugio a 5.800 metri inizia a nevicare a tutta manetta ed in breve copre la via di discesa. Quando arriviamo in vista del rifugio 1 tutti escono dalle tende per salutarci ed accoglierci. “Felicitaciones, felicitaciones” ci gridano e ci vengono incontro per abbracciarci. E’ una grande emozione e un riconoscimento d’affetto da parte di amici sconosciuti che forse non rivedremo mai più.

31.12.1999 Plaza de La Moneda

Il pomeriggio del 31 dicembre lasciamo l’Hotel Palace di Copiapò e voliamo su Santiago. Alle 15 siamo nella capitale oramai deserta come l’aereoporto per paura del black-out per la fine del millenio. Dalle 15 in poi tutti i voli sono cancellati e metà popolazione di Santiago è a Vina del Mar per i festeggiamenti. A sera dopo una bottiglia di buon vino in Hosteria da Ines andiamo nella piazza di fronte al Palacio de La Moneda a festeggiare l’inizio del 2000 con un milione di cileni.

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