ITINERANZA ARTICA

 Nell’estremo nord-est siberiano,sul pack dello stretto di Bering, tra le popolazioni ciukce ed eskimo

 Questo articolo risale all’aprile 1995

Una muta di cani che corre sul pack polare verso lo Stretto di Bering

Certamente le nuove frontiere aperte di recente (nel 1992 la Kamchatka e l’anno successivo la Ciucotka) diventeranno un’area geografica sempre più conosciuta ma,per i costi eccessivi non saranno mai mete turistiche di grande afflusso; nonostante la loro bellezza e unicità.Durante l’impero sovietico ci erano sconosciuti persino i loro nomi; l’oscurantismo regnava totale in quelle regioni, come se non esistessero. Per la Russia stessa ed anche per il resto del mondo. L’importanza strategica di queste zone le aveva condannate alla segregazione e alla solitudine; a dover contare solamente sotto il profilo militare, poichè il grande nemico americano era appena al di là,a qualche chilometro, oltre lo stretto.

La banchisa polare che si insinua tra i fiordi prima di arrivare a Providenya e ancora a Sud Chukotka

Tra 2 isole, Little e Big Diomede, una statunitense e l’altra russa, i militari che prima si scrutavano con il binocolo oggi si salutano con la mano scambiandosi grandi sorrisi pieni di solidarietà. E’ dura vivere facendo la guardia al mare e ancora di più trascorrendo la vita stretti nella morsa del gelo.

I dolci rilievi della Chukotka nei pressi di Chaplino

Ogni città o villaggio della Siberia ha la sua centrale che consuma carbone e inquina drammaticamente l’aria, per garantire acqua calda e il riscaldamento all’interno delle abitazioni. Se è vero che il parco naturale Kronotzkij viene definito un vero paradiso incontaminato,c’è da ricordare che dove è arrivata la mano governativa,con i suoi assurdi piani di sviluppo e i suoi progetti faraonici, molto ha distrutto e inquinato senza nessun rispetto per la natura.
Nell’aprile del 95 quando con il corrispondente Afanassi sono stato alla polizia di Providenija per far controllare il nostro permesso per la Ciucotka, mi sono sentito dire dal comandante che il permit ottenuto a Mosca non valeva niente.
– “E poi,cosa siete venuti a fare quì?”
– “Del turismo” rispondo io
– “Allora siete delle spie” sentenzia come se fosse la cosa più logica dell’universo
– “No – aggiungo – vogliamo visitare la regione”
– “Ma quì c’è solo freddo e ghiaccio. E poi con cosa vi muovete?” ribatte il comandante stupito
– “Con le slitte e gli sci” rispondo
– “ALLORA SIETE PROPRIO DELLE SPIE!!” afferma senza nessuna ombra di dubbio, cercando con lo sguardo compiaciuto conferma tra i colleghi per l’abile intuizione.

L’area dello stretto di Bering è stata 12-15, forse 30 mila anni fa, il punto di transito tra la Siberia e l’Alaska delle migrazioni asiatiche verso l’America. I ciukci e gli eskimo russi sono sicuramente la realtà più genuina di ciò che è sopravissuto del “passaggio” storico verso il nuovo mondo, ma la russificazione e la vodka hanno colpe assai gravi e indelebili sulla perdita della loro cultura e identità. Oggi qualcosa stanno tentando di ricuperare aiutati dai loro “cugini” americani che vivono in Alaska, ma è ben poca cosa. Rimane comunque un ambiente affascinante sia quando nel lungo inverno polare è ricoperto da un manto bianco sia quando dopo il disgelo si anima di verde, di torrenti e fiumi che discendono verso il mare.

ALLA FACCIA DELLA DEREGULATION

Gli autoparlanti dell’Aeroflot gracchiano musica disco-russa per tutta la transvolata sull’immenso pack artico; il risultato è a dir poco fastidioso anche per la scadente qualità delle casse e dell’impianto; forse sarebbe meglio la tradizionale balalaika e qualche buona ugola moscovita almeno per rendere più folkloristica l’atmosfera. L’aereo sembra una balera di bassa periferia, tanto è fumoso, sporco e approssimativo nel suo arredamento.

Nella parte posteriore dell’aereo dove si trovano le toilette un pezzo del soffitto è scollato e a penzoloni, tanto che per entrare nei bagni è necessario sollevarlo. “Alla faccia della deregulation” dice Gabriele Sinibaldi, tra il perplesso e l’ironico mentre cerca di rimettere al proprio posto la formica pendolante; ma senza alcun risultato. Per il personale Aeroflot sembra tutto normale tanto che quando passano, si abbassano con disinvoltura, con un bel gesto sinuoso quasi a dimostrazione che nella vita l’esercizio ginnico ci vuole, giustificando così quella banale anomalia.
Stiamo volando da Mosca ad Anadyr nella lontana Ciucotka; quasi dall’altra parte del mondo. Nove ore di volo ed altrettante di fuso orario dividono la capitale russa con il capoluogo dell’estrema provincia siberiana sullo stretto di Bering. Siamo la prima spedizione occidentale ad arrivare in questa zona nel periodo post-invernale e l’immensa Siberia, che nel lungo inverno nordico è coperta di neve e ghiaccio, sembra non finire mai.

Lasciata Mosca con il nostro mirabile Tupolev si ha la sensazione di essere inghiottiti dai bianchi cristalli artici. Quando riappare un segno tangibile della presenza umana, comprendo con quale difficoltà e ostilità l’uomo e la natura si siano integrati. La striscia grigia dell’aeroporto di Anadyr ci accoglie distinguendosi da tutto il resto e una spola di aerei militari fa da ponte con il resto del Paese per garantire alla penisola il necessario per completare il lungo inverno. I pochi centri abitati della Ciucotka sono sul mare; durante il periodo estivo e autunnale i porti sono in funzione per approvvigionare di scorte le popolazioni finché il ghiaccio non arresta le attività marittime.

ANADYR,TERMINAL TERRESTRE

 Sbarchiamo ad Anadyr a mezzogiorno e ad attenderci all’aeroporto troviamo Vladimir Sertun, detto Valodi, e Leonid Zamiatnin di San Pietroburgo, un extrem hitch-hiker, come lui si definisce,che è una vera macchietta, uno scroccone patentato che convince con le sue storie pietose; comunque uno dei personaggi che ha caratterizzato la nostra spedizione. Valodi di professione fa il fotografo e si guadagna quattro soldi con le foto per i documenti. Stampa del bianco e nero dentro una cantinetta a 2 vani che lui chiama in tono professionale “studio” e questo è il termine per presentarsi quando risponde al telefono. La scena successiva è la sua faccia adirata ed incredula perchè la recezione, che la telefonata provenga da San Francisco o dalla casa di fronte, è pessima, sconclusionata e a strappi. Questa è per lui la prima volta che si rapporta con dei turisti e non sa mai cosa dire ne fare. Cerca sempre di ostentare un minimo di sicurezza ma si vede ad occhi chiusi che è costantemente in preda al panico.
Sento ancora per lui un affetto fraterno e il nostro abbraccio finale prima che rientrassi su Mosca sembrava non dovesse finire mai; nessuno dei due aveva il coraggio di staccarsi per non far vedere all’altro gli occhi umidi.

Leonid di San Pietroburgo, uno scroccatore inimmaginabile. Voleva girare il mondo vivendo alle spalle degli altri; questo era il suo credo

Con Leonid invece non è così perchè la sua sopravvivenza sono gli altri.La sua attenuante nei nostri confronti e nei confronti di Valodi è di sparlare quattro parole di inglese e questo gli ha garantito due pasti al giorno e un letto nello “studio”. Quando siamo usciti la prima sul pack nel fiordo di fronte la città, la temperatura era di 34 gradi sottozero; lui mingherlino dalle gambe decisamente storte, aveva addosso un paio di jeans e una giacca a vento che aveva perso tutta l’imbottitura e assomigliava più a un k-way. Stonava, su tanta miseria, il bel colbacco che aveva in testa e che si era fatto prestare dal figlio di Valodi. Quel giorno, prima di rientrare in hotel, Valodi che si spremeva il cervello per inventarci il program, da una sferzata all’aspetto culturale e così, accompagnati dal nostro traduttore sanpietroburghese andiamo alla Casa del Pioniere dove ad attenderci c’è la direttrice, una biondona quarantacinquenne con tre chili di fondotinta sul viso.Ci fa vedere con orgoglio e larghi sorrisi tutte le attività sociali del centro frequentato da bambini e bambine. Quando i suoi prediletti inscenano un balletto e dei canti in nostro onore, la signorina per poco non sfiora l’orgasmo. Ma la serata ci riserva un’altra sorpresa. Valodi ci porta a cenare in un ristorante che è il top della città e il clima è festoso per un matrimonio in corso con tanta di orchestrina. Con il nostro arrivo l’attrazione non sono più gli sposi ma noi. Grazie alla vodka che favorisce sguardi benevoli e qualche sorriso di circostanza inizia così la nostra partecipazione al clima allegro della serata e quando con le danze si arriva ai lenti mi si avvicina decisa una signora ben piantata e matura nell’età che mi chiede di ballare. Esito un attimo ma la sala intera mi invita ad accettare (vigliacchi). Non ho scampo e rifiutare sarebbe un incidente diplomatico. La signora mi abbraccia tipo morsa, gronda di sudore misto ad un profumo di fiori-russi e per tutto il lento cerco di divincolarmi; ma è inutile, ha una stazza tipo Sansone che potrebbe sopprimermi quando vuole.
Ma la tortura non finisce con una canzone perché invita il cantante a replicare con un’occhiata seria e chiara che non ammette incomprensioni.
Anadyr è una tappa obbligatoria di transito per giungere a Providenija, a meno che non si arrivi via Nome dall’Alaska. Quando scendiamo la scaletta dell’aereo rimaniamo allibiti dal freddo e la stessa cosa succederà a Providenija. Non immaginavo temperature così gelide, nonostante mi fossi preparato e mi aspettassi il freddo siberiano. Da notare che la Ciucotka si trova per buona parte sotto il Circolo Polare Artico ma tutto ciò non toglie che il freddo abbia connotati unici rispetto alla sua posizione geografica. Vi sono delle località abitate della Yakutia che durante il periodo invernale il termometro si attesta tra i 45 ei 60 gradi sotto lo zero, con medie intorno ai 50. I russi emigrati in queste zone vivono praticamente in casa o all’interno degli edifici di lavoro e solo i pochi indigeni sono quasi sempre a contatto con il freddo, dimostrando spesso una resistenza incredibile.

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Il giorno 14 aprile 1995 facciamo un giro fino al porto completamente avvolto nel ghiaccio e alle 11 del mattino attraversiamo col bus il pack del fiordo tra Anadyr e la penisola di fronte per andare in aeroporto. Il volo ha il solito ritardo e intanto paghiamo 316.000 rubli di extrapeso per 37 kg. in più rispetto al dovuto. Su questa tassa nei voli interni la compagnia aerea è inflessibile e pesa tutto, anche il bagaglio a mano e la giacca che porti addosso; è un modo come un altro per tirar su soldi e finanziare le magre casse locali. E’ incredibile ma ad Anadyr si può fare solo il biglietto di andata su Providenija e non andata-ritorno, perché il biglietto di ritorno si può acquistare solamente a Providenija. Il biglietto ha un prezzo indicativo di 128 $ USA ma varia a seconda dei bisogni finanziari del momento e della discrezionalità dell’addetto predisposto in ufficio. Ce lo farà poi pagare 175 $; o così o niente, anzi sarebbe meglio niente così non lo si disturba. Da notare che il signore in questione ce lo siamo dovuti cercare fino a casa; ma non sua, stava festeggiando da amici suoi. Quì ai confini del mondo le regole hanno una loro logica; e così dopo il controllo bagagli ci siamo dovuti prendere i nostri sacchi e tutta la roba, portarcela sull’aereo e stivarla nel suo interno.Non esiste un carrello e con tutto il personale che è lì a far niente non c’è stato uno che abbia mosso un dito per aiutarci. Niente carta d’imbarco e niente scontrini sui bagagli; procedure ritenute inutili. L’importante è beccare i soldi; tutto il resto sono formalità inventate dall’occidente. Lasciamo a terra lo sbilenco Leonid con i suoi cinquanta chili e quell’aria da cane bastonato che metterebbe tristezza anche a Settecappotti (mitico barbone di Bologna); saliamo sul bielica il cui interno assomiglia a un pescereccio di Marzara del Vallo al rientro dopo dieci giorni di mare. I nostri compagni di volo sono alcuni militari e qualche civile; tutti portano il colbacco con la stella rossa e la falce-martello; per loro è cambiato ben poco e quel poco sicuramente in peggio. I tagli operati su queste zone dal governo sono stati drammatici per un’economia locale che non esiste. La stragrande maggioranza della popolazione è arrivata sin quì dalle provincie occidentali dell’ex Unione Sovietica per ragioni militari o amministrative e di supporto all’apparato statale. I pochi ciukci ed eskimo non hanno grossi problemi di sopravvivenza essendo la loro esistenza legata alla pesca, alla caccia e alle renne; e non per ultima alla vodka.

HOTEL DORMITORY, PROVIDENIJA

Il volo su Providenija quasi merita un viaggio. Si sorvola dapprima il mare gelato ma verso est si intravvede l’acqua di un azzurro intensissimo.Prima di atterrare si vedono una serie di fiordi che si insinuano verso l’interno e a nord dei rilievi,non elevati: si entra tra due montagne per individuare in fondo l’aereoporo. Ad attenderci c’è Afanassi, il nostro corrispondente originario di Mosca, 5 slitte con i cani e gli eskimo Tola, Costa, Vassili e Victor; Yura,il quinto personaggio addetto alle slitte è un ciukcio ed è pure la guida. Gli eskimo alla prima paghetta che gli daremo se la berranno tutta in vodka insieme alle mogli, anche loro ubriache fradice e insieme trascorreranno la notte all’addiaccio prima di partire per Chaplino.
L’Hotel Dormitory di Providenija non è il Danieli di Venezia. Già dal nome non si presenta bene ma si sa che da queste parti non ci si impegna su questi particolari. Lo conferma il fatto che i quattro ristoranti della città, che conta circa quattromila abitanti, si chiamino: Ristorante Numero 1, R. Numero 2, R. Numero 3 e R. Numero 4; alla faccia della fantasia.
Non è che riponessimo sull’Hotel Dormitory delle grandissime aspettative ma ci sembra incredibile che tutte le volte che apriamo i rubinetti dell’acqua esca per una trentina di secondi piena di ruggine; e poi pian piano colorata, tendente sempre di più al limpido. Ma il vero problema sono i rubinetti, tenuti chiusi da fil di ferro, spago, pezzi di legno ad incastro, una spallina di un reggiseno e così via. La cittadina dall’alto è una macchia nera perché cosparsa di fuliggine che fuoriesce dalla centrale a carbone che da riscaldamento e acqua calda a tutte le abitazioni. La centrale inquina l’aria e l’atmosfera ma l’inquinamento acustico non è da meno. C’è un chiasso assordante che sprigionano le parti meccaniche della centrale, un inquietante costruzione fatiscente, che lavora senza interruzione tutto l’anno; ma al rumore nessuno sembra farci caso. Anzi, quando i locali si muovono con le slitte hanno come riferimento dei villaggi il fumo che significa casa e caldo; insomma, vien visto come una sicurezza, la “cosa buona”.

Ricordo che prima di partire mi dissero che sicuramente per vivere quì sarebbe bastato qualche dollaro al giorno ma Providenija,come altre realtà del nord del mondo, ha costi proibitivi. Nei negozi la merce è tutta carissima perché il trasporto in loco incide sul prezzo del prodotto di 5,8,10 volte tanto. La frutta per esempio ha prezzi folli: una mela si paga dai 4 ai 5 dollari USA. Un mondo a sè mi viene da dire, nonostante quella bandiera russa che sventola su un palazzo governativo del porto, simbolo di appartenenza a un’insieme: ma nessuno sa più qual’è. Gli allevamenti di volpi argentate, le blue foxes, oramai si stanno riducendo e gli animali rischiano di morire di vecchiaia, togliendo una delle poche risorse economiche locali. I magazzini di Chaplino, Uelen, Lavrentiya e Yanrakynnot sono pieni di pelli invendute che con la caduta dell’Unione Sovietica hanno perso i loro canali di commercializzazione e così il personale che vi lavora è già da parecchi mesi che non viene pagato; l’ultimo stipendio lo hanno percepito in pelli, ma risale a novembre; sei mesi fa. Bisognerebbe mettere al loro posto certi animalisti che vivono da noi e che gridano allo scandalo per le pellicce, però lo fanno dai salotti buoni di casa nostra con la pancia piena di ogni ben di Dio e con il bicchiere di Martini in mano, dimenticando che per questi è un problema anche trovare del ghiaccio non salato e sgelarlo per bere. Quanti falsi anche da noi, che magari fanno pubblicità alla loro faccia tosta sbandierando dei sani principi, non validi comunque in ogni angolo della terra.

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Il giorno 17 aprile lasciamo Providenija per Chaplino dopo aver ottenuto il permesso dalla polizia. Lasciamo l’hotel e le sue gelide camere, con la signora cicciona incassata dentro il bugigattolo di entrata e il suo seggiolone con la stufetta elettrica a fianco, sempre sospettosa dei nostri movimenti.

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Lasciamo la piazza tra l’hotel e la centrale a carbone, con quella statua color verde di Lenin un pò ingobbito e furtivo, quasi se ne volesse andare da quel piedistallo. Incredibile la somiglianza con un nostro politico caduto in disgrazia. Ora via da Providenija per il nord, e inizia così la nostra corsa sul pack.

I cani di una muta fermi durante una tempesta

Inizia così la nostra cavalcata attraverso il pack con l’amico Affanassi, un russo della capitale trasferitosi in Cukotka inizialmente per un servizio televisivo e poi rimanendovi per mettere su famiglia con una ragazza locale di cui era già separato. Lui figlio di un grosso funzionario dell’esercito, cresciuto parlando la lingua inglese alla perfezione per diventare una spia, si è trovato, con il crollo del comunismo, ad essere inutile e senza lavoro, per cui si è inventato di occuparsi di turismo tra queste lande siberiane. Tanti auguri!! Ma grazie a lui ci muoveremo senza grossi problemi in luoghi impossibili e inimmaginabili sino ad ora (siamo nel 1995) ma in qualche modo questa regione dovràrapportarsi al mondo. I chukci e gli eschimo che ci guidano le slitte sono affidabili nel loro lavoro con le mute di cani ma come persone sono da prendere con le molle, anche se li trovo molto simpatici e bambinoni.

Ora si parte per il Nord (descrizione da completare)

Con l’amico Affanassi, ed io con la mia tuta gialla inconfondibile!!!