Polo Nord 1997
La Terribile Marcia
La progressione con gli sci e la slitta al traino per raggiungere il “Grande Chiodo”, termine con cui i popoli artici chiamano la cima del mondo: il Polo Nord
Quando si concretizzò la mia partenza per il nord della Groenlandia,dopo la spedizione in Ciucotka, il professor Liberini del Museo Polare di Fermo mi disse che il Mal d’Artico era già dentro di me, ma io mi affrettai a smentire quest’idea che ritenevo lontana dal mio bisogno di immensità sahariane.
Ad oggi confermo che buona parte della sua affermazione è esatta e mi accorgo quanto sia difficile staccarsi dai deserti bianchi, dove la presenza umana è inesistente e quando si insinua, per poco, pone la vita al limite estremo. Nonostante questa esasperazione della severità e delle difficoltà mi accorgo che in una parte della mente e dell’intimo mio è presente, e quei ghiacci che galleggiano nelle acque dell’artico si muovono anche dentro di me.
L’idea mi venne un paio di giorni prima di partire per Thule (Groenlandia) e alla fine della conversazione dissi a Gabriele: “Il prossimo anno sarà la volta del Polo Nord”. “Una battuta” mi disse “è solo una battuta” ma lui conoscendomi era certo che saremmo partiti. Infatti alla fine dell’estate ’96 avevamo deciso di concretizzare quell’idea e dopo varie ricerche venni a sapere che nell’aprile ’97 una spedizione austriaca avrebbe tentato di raggiungere il Polo Nord dalla base derivante di Borneo. Nel team c’erano pure Victor Boyarsky e Victor Serov che si sarebbero occupati anche della logistica per i voli in Siberia e fino alla base derivante, e poi per il recupero con l’elicottero dal Polo Nord; infine Hubert Messner, che con il fratello Reinhold aveva già alle spalle un tentativo di traversata integrale da Cup Arctichesky fino in Ellesmere Island, nel nord del Canada, in totale autonomia nella primavera del ’95. Un’impresa ai limiti dell’immaginario, che non consideravo tale all’epoca. Ad oggi rivaluto anche l’impresa di Ambrogio Fogar, perchè ci vuole del coraggio da vendere per “buttarsi” nel pack artico con un cane ed una slitta da tirare.
Con Victor Serov mi incontro a fine ottobre dapprima a Torino da Marco Fiaschi e poi a Roma dove si concretizza la spedizione che partirà entro la prima decade di aprile. Siamo io e Gabriele Sinibaldi di Trieste, mio amico fraterno, compagno di tante avventure in ogni angolo della terra, fortissimo alpinista e atleta capace in qualsiasi disciplina si cimenti; la nostra intesa è iper-collaudata e basta un’occhiata per intenderci. Ci siamo conosciuti in un viaggio alle Maldive!Per giungere alla soluzione del problema-materiali ci sono voluti quasi sei mesi e, per esempio, le scarpe che abbiamo usato al Polo abbiamo dovuto farle arrivare dal Canada. Tralasciare un qualsiasi particolare avrebbe potuto compromettere definitivamente la spedizione. Per adattare gli attacchi degli sci a queste scarpe speciali sono dovuto ricorrere a Sergio Veggetti che è riuscito ad “imbragare” in maniera efficace e solida il tutto. E così per la slitta che ci siamo tirati appresso: ce la siamo fatta costruire da una ditta di Monza su nostro progetto, prendendo spunto da qualche immagine di chi ci ha preceduto.
Norilsk e Khatanga nel Taymyr
Il 12 aprile partiamo da Milano per San Pietroburgo, via Budapest, con 150 kg. di materiale; grazie a Gilberto, che fa servizio aereoportuale su Linate, non abbiamo nessun problema per l’evidente extrapeso. Al nostro arrivo in terra russa troviamo ad attenderci Boyarsky e Serov che con un bus ci portano al Museo Polare che loro gestiscono e che si trova all’interno di una chiesa ortodossa sconsacrata. Attualmente lo Stato vorrebbe restituire lo stabile alla comunità religiosa (una frangia che conta in città 50-70 persone) ma i Victor non sanno dove collocare il museo che ha tantissimo materiale al suo interno. Con Hubert Messner e i componenti della spedizione AUSTROPOL ’97 andiamo al ristorante Fortecia dove ceniamo in compagnia di Giorgio e Pinuccia Rovelli che sono quì a San Pietroburgo di passaggio per lavoro. Tra lo stupore dei clienti ci cambiamo all’entrata del ristorante e ci vestiamo con saloppette e giacche pesanti; ci attende un trasferimento che ci proietta nel centro della Siberia. Alle 23 siamo in aereoporto e l’extrapeso di tutta la spedizione ha dell’impressionante. Inizia un intrallazzo tra Boyarsky e le autorità della neonata compagnia aerea, denominata Pulkovo, che da un clima quasi irritato da parte loro si trasforma nell’arco di un’ora in abbracci e foto ufficiali per la stampa; da banali passeggeri siamo diventati eroi dell’artico ad una velocità sorprendente e riusciranno persino a trovare una bandiera col loro marchio per le foto al Polo Nord. Devo dire che Victor Boyarsky oltre ad essere un grandissimo personaggio dell’Artide e dell’Antartide è un immenso comunicatore, tanto vulcanico quanto umano e preciso in ciò che fa; un orso polare sia per come si muove che per le sue doti di resistenza al freddo, ma di un’umanità sorprendente e trascinante.
In quattro ore di volo siamo a Norilsk, 2.808 km. da San Pietroburgo,nel centro-nord della Siberia; una cittadina squallida con l’aereoporto e la stazione ferroviaria divise da una piazza. Intorno case malamente colorate e il bianco candore della neve ricoperto ovunque dal fumo nero delle ciminiere a carbone. Nella stazione aereoportuale ho visto la peggior toilette della mia vita che chiamarla cesso sarebbe offensivo per quest’ultimo termine; credo che se per sfortuna fossi scivolato per terra mi sarei lasciato morire piuttosto che reagire e rialzarmi con quel ricordo indelebile di putrido.
Norilsk, Khatanga e Dudinka sono città nate e sviluppate durante il periodo sovietico-staliniano grazie al carbone prima e poi al petrolio. I prigionieri politici e i delinquenti comuni hanno costruito la ferrovia e le pipelines, le condotte che portano il petrolio verso l’Europa attraverso uno degli ambienti più inospitali del mondo. L’interminabile inverno è caratterizzato da un freddo senza tregua a cui spesso si aggiunge la purga, la bufera di neve che oltre ad abbassare ulteriormente la temperatura è causa di danni gravissimi.
La breve estate siberiana scatena le zanzare,arzille e fastidiose, tanto da far rimpiangere il gelo invernale. La ferrovia che collega Norilsk a Dudinka viene chiamata la “ferrovia delle ossa” perchè è costata migliaia di vite umane di condannati ai gulag che hanno perso la vita durante la costruzione, tra il 1935 e il 1937, lavorando in condizioni allucinanti.
Da Norilsk a Khatanga voliamo su un Ilyusin 76 cargo, che operava in Afghanistan durante l’occupazione; è tanto carico di tank di kerosene che abbiamo difficoltà a muoverci al suo interno. In un’ora e dieci minuti arriviamo a Khatanga e dopo aver scavalcato la rete di cinta dell’aereoporto (non si trovava la chiave della porta di servizio) ci sistemiamo all’Hotel Airo per una notte in un letto. La città conta quasi quattromila abitanti ed è stata fondata nel 1696 da una tribù locale,i Nganassani, che con i Dolgani e i Nenzi sono gli indigeni della penisola del Taymyr. Oramai la loro presenza è ridotta a pochi elementi,sottrattisi a stento nella tundra desolata dal controllo sovietico.
Khatanga è lo squallore totale anche se Hubert Messner dice che è più simpatica di Risolute Bay. Il permafrost ha affossato e sbilanciato moltissime abitazioni ma la sporcizia totale è oltre ogni limite immaginabile. Al supermarket centrale si intravvede la nuova Russia; tolte via le immaginette di Lenin e soci vien fatto posto a Coca Cola e Marlboro. A tener botta del passato è solo la vodka che, dicono, guarisce tutti i mali. Il nostro ristorante si trova proprio dietro la centrale a carbone,l’inferno dei vivi, ma ogni volta che entriamo e entreremo al nostro ritorno dal Polo, Valentina, Galina e Ilena si tirano a lustro per noi. A loro perdoniamo la qualità del cibo per i loro modi dolci.
Voliamo il giorno seguente da Khatanga per l’ice camp, la base derivante denominata Borneo distante 130 km. dal Polo Nord, su un Antonov cargo, tra bombole di gas e taniche di kerosene; una vera bomba volante. Il volo dura 3 ore e 50 minuti.
Adrenalina Country Ice
Tra l’81° e l’84° parallelo di latitudine nord il pack si mostra spaccato, con ampie e lunghe crepe di mare aperto. Da Cap Arctichesky è partita il 5 marzo la francese Christine Janin in compagnia di un russo per raggiungere il Polo Nord. Alla base derivante può contare sul supporto di Christian De Marliave e della sua equipe (comunica tutte le “sere” via radio) ma a parte 3 rifornimenti di viveri già effettuati, sembra abbia avuto qualche problema con gli orsi. Questo particolare va ad aggiungersi all’estrema durezza della vita sul pack che, a mio avviso, a confronti soltanto con l’alpinismo oltre i settemila metri. In quota però i tempi di permanenza sono limitati, per questo ritengo che le imprese polari abbiano un valore, nell’avventura umana, di primaria importanza. Un’altro personaggio, assai discutibile ma di indubbio coraggio che sta tentando di raggiungere il Polo Nord è il giapponese Mitsuro Oba, al suo quarto tentativo; questa volta gli riuscirà. Nelle prove precedenti aveva mancato la meta per poco e tutte le volte era stato vittima di gravi congelamenti. Dall’ultimo rifornimento che l’elicottero gli ha portato non ha fatto più avere sue notizie e alla base si era temuto il peggio. Il giorno 21 aprile durante un volo di ricognizione il pilota lo avvisterà sul pack che cammina con uno zaino molto carico e privo di slitta al traino; probabilmente deve aver rotto qualcosa della slitta per poi abbandonarla, portandosi tutto sulle spalle.
Borneo Borneo
L’Antonov atterra sulla pista di Borneo in meno di 300 metri e sembra un miracolo. Nella base,che opera per 3 settimane l’anno, oltre ai francesi ci sono 3 tende di russi impiegati nella funzionalità del collegamento con Khatanga e per raccogliere dei dati. Ad oggi la base viene mantenuta da qualche spedizione e gli scopi militari e scientifici di un tempo sono oramai venuti a cadere. La temperatura al nostro arrivo è di 29 gradi sottozero e si manterrà costante tra -28 e -35 fino al nostro ritorno; l’unica variante che abbasserà ulteriormente la temperatura sarà dovuta al vento che, a parte un paio di giorni di relativa calma, spira da nord, proprio contro di noi, in maniera quasi ossessiva. La nostra progressione verso il 90° parallelo sarà durissima e comunque al di là di ogni aspettativa; almeno per chi era alla prima esperienza polare.
Ci sono alcuni aspetti da considerare; primo fra tutti il freddo. Non c’è mai la possibilità di ricaricarsi in un ambiente caldo perchè all’interno della tenda la variazione di temperatura, anche con il fornellino acceso, è irrisoria. Si possono togliere i guanti solo sopra la fiamma e il pericolo di cangelamenti, per un minimo errore, è costante. Il sacco a pelo,dopo il primo riposo (quì è sempre giorno), si estrae dal sacchetto di compressione e rimane delle stesse dimensioni: bisogna aprirlo e allungarlo sopra il fornello e poi infilarsi dentro completamente vestiti. Dormire così è pura utopia e appena ci si appisola, ci si sveglia di soprassalto con qualche incubo per la testa. Uscire dal sacco a pelo è l’operazione più dura e una volta fuori non ci si deve fermare per nessun motivo; le soste devono durare un attimo altrimenti si batte i denti e se il freddo entra nelle ossa ci vuole anche un’ora di marcia prima di riprendersi. Estrarre la fotocamera per scattare un’immagine vuol dire fermarsi, togliersi un paio di sovraguanti e per conseguenza avere per almeno mezz’ora le dita gelate. Ma è un’operazione, come anche le più semplici, che diventano complicatissime e costano tempo e fatica.
Un’altro aspetto importante è di trovarsi sopra il mare. Sembra banale dirlo ma inizialmente non è facile ragionare razionalmente considerando di avere sotto 4.000 metri d’acqua e di essere in balia delle correnti. La deriva ha condizionato radicalmente la nostra progressione, rendendola quasi nulla negli ultimi giorni e favorendoci di una decina di km. nei primi due giorni. Le condizioni del pack non sono certo quelle di una distesa bianca e piatta riscontrate sia nello stretto di Bering o nel nord della Groenlandia. La banchisa del Polo Nord è completamente frastagliata, spaccata, e nei tratti dove si sono unite 2 superfici, l’impatto lento ma costante ha prodotto grossi “mattoni” di ghiaccio accatastati, difficili da superare. In questi casi bisogna togliersi gli sci e trascinare la slitta tra i blocchi con cautela fino a superare l’ostacolo. Quando ci si trova difronte al mare aperto, è necessario aggirare la crepa seguendola finchè non finisce; per questo può anche darsi che per fare pochi metri di movimento verso nord ci si impieghi più di un’ora, con la possibilità di trovarsi, nel frattempo, su un’isola appena formatasi.
Il giorno 17 aprile dopo 8 ore di marcia ci troviamo davanti ad un tratto di mare aperto di oltre cinquanta metri. Victor e Hubert si guardano tranquilli mentre io esprimo le mie perplessità nel superarla in tempi brevi aggirandola verso est. Loro mi dicono che conviene fare subito il campo e attendere domani; forse con la brezza che spira da nord l’ampia crepa potrebbe chiudersi. Esprimo i miei dubbi ma l’indomani mattina quando Gabriele esce dalla tenda mi dice con stupore che tutt’intorno non si vede nessuna traccia d’acqua. Siamo increduli e riflettiamo sul fatto di trovarci sull’OceanoArtico.
Il mattino come si esce dalla tenda bisogna immediatamente smontarla, caricare la slitta, mettere gli sci e partire. Un momento di attesa, fermi, può essere deleterio. Quando si decide di fare il campo le operazioni vanno fatte di seguito; montata la tenda si deve subito entrare, accendere il fornello e iniziare a sgelare la neve per bere. Da notare che l’aria è totalmente secca e nonostante il freddo sofferto, nessuno si è preso un raffreddore, un mal di gola, un pizzico di tosse o una linea di febbre. Il freddo durante la marcia è sempre intensissimo e le uniche parti scoperte sono gli occhi e il naso. Il naso e le falangi delle dita sono quelle che hanno subito, per alcuni di noi, dei principi di congelamento, risolti senza gravi conseguenze. Gli occhi sono impossibili da proteggere perchè appena ci si mette gli occhiali diventano, al primo respiro, un blocco di ghiaccio impedendo la vista. Avanzare con gli sci non è mai stata una progressione rilassante e ritmica perchè è tutto un sù e giù, con continui strappi sul fondoschiena dove l’imbragatura ha le attaccature delle corde che vanno alla slitta. La direzione è data dal GPS, lo stumento collegato contemporaneamente con 8 satelliti; mai dalla bussola che indicherebbe il nord magnetico posizionato sopra il Canada.
23 Bad Day- 25 White Out Dream
Note dal mio diario del 23 aprile:”Sono ancora nel sacco a pelo quando sento Gabriele imprecare contro la brina che gli arriva addosso dal telo interno della tenda mentre cerca di accendere il Primus. Non va a freddo quell’imbecille di fornello e Gabriele gracchia una serie di “Vaffanculo!” prima che riesca a sgelare l’ugello del kerosene. Anche lui ha la faccia sconvolta e martoriata dal freddo. La punta del naso è color blu scuro e mi sembra invecchiato più negli ultimi dieci giorni che negli ultimi dieci anni. Quando sento l’acqua bollire mi stano dal sacco a pelo e con una fatica bestiale esco dal tepore conquistato a fatica. Ho battuto i denti anche “stanotte” per un paio d’ore e per vincere il freddo oramai ho una tecnica collaudata;che funziona. Tiro i nervi ed i muscoli del corpo e muovo 20-30 volte con movimenti corti per esempio le spalle e una gamba. Poi mi giro e tocca alla schiena e le 2 mani: e così via. Bevo 4 Nescafè di fila e poi raccolgo il materiale in tenda; sento Hubert e Gabriele che borbottano di partire. Il cielo è coperto e spira un vento allucinante; mai visto niente di simile.
La tempesta di neve arriva da nord ed oggi dobbiamo avanzare a testa bassa perchè neve e freddo si insinuano attraverso l’apertura degli occhi; in questi casi il corpo ha dei sussulti che sono la conseguenza dei brividi.Le ciglia in un attimo diventano fili di ghiaccio e non bisogna sbatterle altrimenti si attaccano e l’occhio non si apre più; è quindi necessario fermarsi e strofinare il ghiaccio con le dita. Smontiamo in fretta il campo e si parte (ore 9,35).
…… Dagmar (medico ed unica donna della spedizione) ha le falangi delle dita congelate,di colore nerastro. C’è una sosta forzata di qualche minuto per aprire un
varco tra blocchi di ghiaccio e questo permette a Christoph, Hans e Markus di scambiare i loro guanti con quelli di Dagmar per scaldarle le mani.
…… ci troviamo difronte una fascia di ghiaccio creatasi di recente dal mare aperto e con il ghiaccio non più spesso di 2-3 centimetri. Per passare in sicurezza bisogna spaccarlo e arrivare all’acqua. Boyarsky sale sulla slitta di Messner che galleggia e diviena barca nell’occasione; spiccona il ghiaccio fino a raggiungere l’altra sponda. Poi con 4 corde, 2 da una parte e 2 dall’altra, tiriamo la slitta-barca con un carico o una persona sopra per volta fino a trasferire la spedizione dalla parte opposta. Si riparte ma abbiamo perso quasi un’ora.
….. Oramai il gruppo è sfilacciato e data l’ora (18,15) nessuno ha più energie da spendere. Proseguo guardando le punte degli sci e conto: uno-due, uno-due, uno-due; all’infinito…… Vedo, oramai lontani, Victor Markus, Franz e Hubert fermi (19,25) e forse hanno deciso di fare il campo. Mi affianco a Gabriele e con un gesto col capo ci intendiamo che per oggi è finita. Le forze rimaste in corpo sono un filo esile; inesistente.
25 aprile:”Borneo-Borneo,Borneo-Borneo” urla Victor per radio; “Ricupero OK”. Proseguire è inutile con 21 km. di deriva a sud e 14 ad ovest nelle ultime 24 ore. Ci stiamo allontanando dal Polo. Impossibile arrivare nei tempi a nostra disposizione. E così a 23 km. dalla meta arriva l’elicottero a caricare la spedizione per portarci a destinazione. Avrei e avremmo preferito tutti arrivarci con le nostre forze, ma chi se ne frega, siamo in cima al mondo.”
North Pole Television
Qualche giorno fa (per essere più preciso verso la fine di maggio ’97) Gabriele mi riferiva che in televisione è stato detto che oramai il Polo Nord si può classificare tra le “cose” alla portata di tutti; e questo è vero. La differenza sta nel modo in cui ci si vuole arrivare. E allora si può raggiungere il 90° parallelo di latitudine nord con la nave rompighiaccio da crociera Jamal, tra confort di ogni tipo, in cabina extra-lusso, con dopocena allietati da un’orchestrina di Saint Louis o da un chitarrista virtuoso di Madrid. Si può salire il Cervino sia con l’elicottero, come ha fatto il Mike nazionale, oppure per la via normale, oppure per la parete nord in invernale; e non è mai la stessa cosa. Almeno per chi le cose le vive. Per chi fa solo delle chiacchere,si.
Team
Victor Boyarsky, Victor Serov, Hubert Messner, Mario Trimeri e Gabriele Sinibaldi
e i componenti di AUSTROPOL 97:
Christoph Hobenreich, Dagmar Wabnig, Gerhard Schuhmann, Karl Malin, Franz Lichtenegger, Johann Muller, Martin Dorner, Konrad Dorner, Manfred Schorkl, Rudolf Gschwandtner, Markus Raich, Franz Asbock e Hansjorg Klotz