Spitsbergen Crossing
Le grandi distese ghiacciate delle isole Svalbard con gli sci e la slitta nel 70° Anniversario della Spedizione polare del Dirigibile “Italia”
Il 24 maggio del 1928 l’aereonave Italia con al comando il generale Umberto Nobile sorvola il Polo Nord dove lascia cadere la bandiera italiana. Sulla via del ritorno il dirigibile si schianta sulla banchisa polare a causa di una bufera di neve. Inizia così la ricerca dei sopravvissuti che si erano rifugiati sotto una Tenda Rossa per proteggersi dal freddo e per poter essere avvistati dai soccorsi. Un mese più tardi un aereo li identifica e riesce a trarre in salvo U. Nobile, accusato poi ingiustamente di aver abbandonato l’equipaggio. A ricuperare il resto della spedizione arriverà via mare la rompighiaccio russa Krassin, compiendo un’impresa di altruismo drammatico che ha pochi eguali. Il famoso esploratore Roald Amundsen perderà la vita durante una ricognizione; il suo aereo non farà mai più ritorno alla base, risultando per sempre disperso tra i ghiacci.
Noi con questa nostra spedizione alle Svalbard abbiamo voluto ricordare, a 70 anni da quella tragica impresa, il valore di uomini che hanno osato penetrare nell’”Ignoto Bianco”, in uno spazio verso la Cima del Mondo allora sconosciuto, rinchiuso nel gelo artico.
Quelle imprese che hanno tenuto il mondo con il fiato sospeso, partivano proprio da Spitsbergen Island, e precisamente da Ny Alesund che oggi ancora le ricorda con il pilone d’attracco del dirigibile Italia.
Alba a Longyearbyen
Ancora una volta nell’Artico; e ancora ghiaccio e freddo. Mi era sembrato sempliciemente normale tornare nel nord del mondo come fosse un destino, o come un bisogno indecifrabile ma inevitabile. Quando il 12 aprile 1998 Gabriele, Karl ed io lasciamo Oslo per Tromso, tiriamo un sospiro di sollievo nel vedere sulle prime montagne che si stagliano verso nord un manto bianco di neve che scende lungo i pendii sino al mare. La neve ci fa ritrovare quella sicurezza che ci pareva lontana fin oltre Copenhagen, dove l’inverno aveva già lasciato il posto ad una timida primavera senza colori. Ci lasciamo alle spalle un tiepido inverno italiano, con l’autunno che è passato direttamente in primavera e ci ha privati di una stagione importante. Oramai la neve ce la sparano i cannoni e da una decina d’anni i patiti dello sci ripongono le loro speranze nell’anno che segue; come alla Ferrari.
Longyearbyn, il capoluogo delle isole Svalbard, dista 960 km. da Tromso; ci arriviamo il 13 aprile alle 2 del mattino dopo un’ora e 30 di volo. Il pack frastagliato sul mare inizia mezz’ora prima di vedere Sorkapp, l’isoletta all’estremo sud di Spitsbergen, e poi man mano che proseguiamo il ghiaccio si compatta formando terreno unico ed uniforme. Spitsbergen, che significa Montagne Aguzze, si presenta subito con rilievi e ampie vallate; la luna piena alta nel cielo sembra un occhio su un paesaggio irreale, dove la notte oramai è solo un accenno. All’aereoporto troviamo Fred Hansen che con un minibus ci porta all’hotel; alle 3 siamo a letto e alle 9 già in piedi. Dopo un’abbondante colazione discutiamo con Fred della nostra traversata, dei problemi logistici e dopo un giro di Longyearbyen (è tanto piccola da spenderci meno di un’ora) scendiamo al porto dove carichiamo le nostre slitte con viveri, materiali e carburante e alle 15 siamo pronti per partire. Il tempo è bello, il cielo è terso e anche la temperatura è quasi mite, tanto che con mezz’ora di progressione sul pack dell’Adventfjorden siamo costretti a toglieci di dosso la giacca.
Sassenfjorden e Tempelfjorden
Gli sci e la slitta scorrono sulla banchisa polare senza bisogno di faticare ma come lasciamo il mare e ci addentriamo nell’isola, il terreno comincia a salire e il ritmo e lo sforzo cambiano fisionomia. La vallata che percorriamo si chiama Hanaskkogdalen e dopo 4 ore dalla partenza da Longyearbyen facciamo il primo campo. Sono le ore 19; con il sole che sta calando la temperatura comincia a scendere abbastanza marcatamente ed anche per una breve sosta il freddo si fa sentire. Montiamo le tende proprio sopra le tracce fresche del passaggio di un’orso che Fred garantisce sia una femmina e così comprendiamo subito che bisogna per forza fare i conti con il re bianco, che alle Svalbard scorrazza a destra e a manca. Per i locali è un vero terrore che trasferiscono fin da subito a chi arriva da fuori. E’ logico che noi siamo muniti di un fucile, di una pistola offensiva e di un’altra lanciabotti da usare per spaventarli. Tutte le sere montiamo intorno ai campi un filo di protezione armato che nel caso, durante il riposo, venisse toccato azionerebbe il botto per spaventare l’animale, avvisandoci della sua presenza. Nessun orso ci ha fatto mai visita e la cosa tutto sommato ci ha fatto piacere, ma la tensione (imposta da Fred) era tale che in qualche momento abbiamo quasi pregato in una sua fugace apparizione. Fred andava già in palla nel vederci allontanare dal campo per fare i nostri bisogni (cercavamo un minimo di privacy) con carta igenica e pistola pronta, ma lui sosteneva che in certi momenti ci si sconcentra da ciò che accade intorno; non a torto! Sinceramente Gabriele, Karl ed io ci siamo comportati sempre disinvoltamente, anche perchè non abbiamo mai avuto a che fare con l’animalone. Credo comunque non si possa sottovalutare la bestiola perchè se lo incontri non gli puoi raccontare che sei Angelo Lombardi, l’amico degli animali. Gli orsi si avvicinano all’uomo solo per un motivo: hanno fame.
Terrore per il Re Bianco
Dal primo campo posto lungo il pendio dell’Hanaskogdalen risaliamo faticosamente verso il colle con le slitte da tirare di peso e che talvolta sentiano scivolare da una parte o dall’altra, compromettendo il nostro equilibrio. Al passo, di fronte a noi, le 2 cime del Telgefjellet, rispettivamente di 845 e 918 metri e poi la discesa lungo il ghiacciaio del Knoffingbreen fino alla Wimandalen per piazzare un campo strategico sopra la costa del Sassenfjorden in un punto chiamato Skjorlokstupet. Di fronte a noi un paesaggio veramente impressionante con la vasta distesa di ghiaccio dei fiordi e le penisole di Dickson Land a sinistra e a destra Bunsow Land. Il termine Svalbard significa “Terra dai litorali freddi” e la parola si concretizza in questo spettacolo che abbiamo davanti. Nei giorni a seguire percorriamo il Sassenfjorden e il Tempelfjorden fino a trovarci sul fronte del ghiacciaio Tunabreeen, immenso e frastagliato, con pareti e torri che si ergono verso il cielo. Il tempo che per tutta la prima parte si è mantenuto abbastanza bello tende poi a peggiorare ed il rientro su Longyearbyen è sotto la neve. L’ultimo campo che facciamo sul colle tra il ghiacciaio Tellbreen ad est ed il Blekumbreen ad ovest viene installato in condizioni quasi proibitive, con una tempesta di neve ai limiti della sopportabilità. In questi casi entrare in tenda è come arrivare in Paradiso, con la prospettiva angelica che il giorno dopo dormiamo in un buon letto caldo; il sacco a pelo comincia già a puzzare!
Heidi Rasmussen e Martina Smahel
Per spezzare la nostra piacevole monotonia nei deserti bianchi con gli sci e la slitta sono arrivate Heidi e Martina, due ragazze scandinave: una danese e l’altra svedese. Un paio di mesi prima di partire per le Svalbard il corrispondente di Longyearbyen mi aveva chiesto se eravamo disponibili ad accettarle con noi per la seconda parte della spedizione e la mia risposta fu un inequivocabile “Si”. Ero convinto della loro tenuta atletica e di resistenza alle condizioni disagevoli dell’artico; conosco gli scandinavi,muoiono piuttosto di mollare. E pensavo che, nel bene o nel male, una presenza femminile avrebbero comunque animato i nostri giorni sempre uguali. Infatti il giorno 16 Heidi e Martina arrivano al campo di Fredheim a bordo di 2 ski-doo verso le 19,30. Io sono già in tenda nel sacco a pelo intento a spentolare con il solito risotto alla milanese della Knorr quando sento il rumore dei motori raggiungere il campo e poi un gran vociare alternato a risatine; di donne. Qualche perplessità mi è nata in quel fatidico primo momento e infatti non sono nemmeno uscito dalla tenda per le presentazioni; ho solo gridato sgarbatamente il mio nome da dietro i teli (anche perchè Gabriele aveva sentenziato: “Non sono un gran chè!”). Una delle 2 ragazze,Martina, si accorge fortunatamente prima che i conducenti delle motoslitte ripartano per Langyearbyen che non ha il sacco a pelo; attimo di panico e poi i 2 ripartono per ricuperare nel capoluogo il pezzo mancante, sobbarcandosi 6 ore di viaggio. Nel frattempo ne combina delle altre, tra cui quella di strappare il filo dell’allarme nella ricerca spasmotica di un posto “solitario” tra le tende. Il mattino dopo Heidi e Martina sono già pronte con largo anticipo e quando si parte volano a razzo, lasciandoci esterefatti e mettendo in crisi Fred sulla questione sicurezza. Mi hanno poi raccontato che fino a 3 mesi prima non avevano mai sciato e che da quando io ho accettato la loro presenza nel nostro gruppo si sono allenate sugli sci tutti i giorni con tanto di ginnastica specifica per il terrore di sfigurare. L’unico botto che abbiamo sentito in uno dei nostri campi armati è stato fatto esplodere da Martina, che alzatasi per fare i propri bisogni non si è ricordata del filo. Per poco non veniva impallinata da noi credendola un orso, anche se lei prontamente ha esclamato:”Oohh nei, ,je glemte avv” (Oh no, me ne sono dimenticata).
Ski-doo, ecologia e modernità
L’unica cosa che mi ha dato un pò fastidio è stata la presenza delle motoslitte, il più delle volte lì solo con le tracce sparse nelle vallate anche più lontane. C’è un contrasto molto forte nell’uso esasperato di questi mezzi con la mentalità iper-ecologista del popolo norvegese che, comprensibilmente, giustifica con il fatto che è l’unico mezzo per spostarsi nel lungo periodo invernale. Credo comunque che in generale la gente si lascia prendere un pò la mano, per “calpestare” malamente ogni luogo (valli, rilievi e ghiacciai) che mezzi tanto veloci e potenti riescono a raggiungere. Questa è un particolare che mi ha disturbato in un ambiente tanto grande dove ritengo che le possibilità di traversate siano infinite, non relegando il turismo post-invernale alle sole comode e inquinanti motoslitte.
La spedizione SPITSBERGEN ’98 era composta da:
Gabriele Sinibaldi, Karl Konzert, Heidi Nyborg Rasmussen, Martina Smahel, Fred Skancke Hansen e Mario Trimeri